Oggi è Martedi' 19/02/2019 e sono le ore 17:49:16
Come raggiungere Resolution a Palermo
La ricerca è un servizio gratuito di Google, per cui nei risultati possono essere inclusi dei link pubblicitari.
Oggi è Martedi' 19/02/2019 e sono le ore 17:49:16
Come raggiungere Resolution a Palermo
La ricerca è un servizio gratuito di Google, per cui nei risultati possono essere inclusi dei link pubblicitari.
Tipi e motivi dei cunti in accordo con Aarne e Thompson: "The types of the folk-tale" Helsinki, 1928, e in accordo con Stith Thompson:"Motif-index of folk-literature" Helsinki 1932.Da Norman Mosley Penzer, The Pentamerone of Giambattista Basile Londra 1932 con traduzione e qualche aggiunta di Salvatore La Grassa(SLG)
Online Il cunto de li cunti in dialetto napoletano a cura di Michel Rak(su letteraturaitaliana.net
I cunti delle giornate III, IV e V con testo in dialetto conforme alla stampa del 1634
Tipo 563: I tre doni: la tavola(o la tovaglia), l'asino, e il bastone.
Motivi:
B102.: asino caca oro.
D861.1. :oggetto magico rubato dall'oste(nella locanda).
D881.2. : recupero del magico oggetto con l'uso del bastone magico.
D1094. : magico bastone(clava).
D1153. : magica tovaglia.
D1273. : formula magica(incantesimo).
D1472.1.8. : tavolo o panno magico fornisce da mangiare e da bere.
D1601.5. : bastone animato per mezzo di formula magica.
D1651. : oggetto magico obbedisce solo al padrone.
D1651.2. : magico bastone opera solo per il padrone.
J2355.1. : stolto perde gli oggetti magici perchè parla di loro.
Motivi non citati dal Penzer : L'orco è nano, brutto, deforme e somiglia al diavolo.
Chi disse che la fortuna è cieca, si dimostrò più sapiente
di mastro Lanza(2)
(che lo trafigga!), perché veramente essa dà colpi da cieco,
levando in cima gente che tu non cacceresti da un campo di fave(3) e gettando
a terra altri, che sono il fiore degli
uomini, come vi dirò con un esempio.
Si racconta che c’era una volta al paese di Marigliano(4) una femmina
da bene chiamata Masella, che, oltre a sei figlie nubili,
simili a sei pertiche, aveva un figlio maschio, cosi tanghero,
cosi bestia, che non valeva pel giuoco della neve(5); tanto che essa se ne
stava come scrofa con la spranghetta in bocca,
e non passava giorno che non gli dicesse: «Che stai a fare in questa
casa, pane maledetto? Squaglia, pezzo di briccone!
Sgombera, maccabeo! Sprofonda, piantamalanni! Tòglimiti
dinanzi, mangiasùcciole! Tu mi fosti cambiato in culla, e nel luogo
di un bambolino, di un pacioncello, di un bel fantino,
mi fu posto un maialone pappalasagne!». Con tutto ciò, Masella
parlava e lui fischiettava.
Vedendo che non c'era speranza che Antonio (così si chiamava il
figlio) mettesse finalmente la testa a posto, un giorno, avendogli
lavato bene la zucca senza sapone, prese un matterello e cominciò a
prendergli la misura del giubbone.
Antonio, che, quando meno se l'aspettava, si vide stecconare, pettinare e foderare,
non appena che le poté sfuggir dalle mani, girò le calcagna. E tanto camminò che,
verso le ventiquattr'ore, quando per le botteghe di Cinzia cominciavano ad accendersi
le
lucernette, giunse ai piedi
di un'alta montagna, così ripida che cozzava con
le nuvole.
Colà, sulla radice di un pioppo, presso una grotta lavorata
di pietra pomice, era seduto un orco(6): o mamma mia, quanto
era brutto! Era nano e sconcio di corpo, aveva il capo più
grosso d’una zucca d’india, la fronte bernoccoluta, le sopracciglia
congiunte, gli occhi stravolti, il naso schiacciato, con
due narici che parevano due chiaviche maestre; una bocca
quanto un palmento, dalla quale uscivano due zanne che gli giungevano ai malleoli;
il petto peloso, le braccia di aspo, le
gambe piegate a vòlta, e i piedi larghi di papera. Insomma, pareva
un diavolo, un parasacco, un brutto pezzente e una
mal’ombra spiccicata, che avrebbe sbigottito un Orlando, atterrito
uno Scannarebecco(7), e fatto cadere in deliquio il più abile schermitore.
Ma Antuono, che non si moveva a giro di fionda, fatto un inchino col capo,
gli disse: «Addio, messere, che si fa? Come stai? Vuoi niente? Quanto c’è da qui al luogo dove debbo an
dare?»
. L’orco, che senti questo discorso di palo in frasca, si mise a ridere,
e, poiché gli piacque l’umore della bestia, gli disse: «Vuoi
stare a padrone?». Antuono rispose: «Quanto
ne vuoi al mese?». E l’orco: «Attendi a servirmi onoratamente, che
saremo d’accordo e farai buona vita».
Cosi, conchiuso questo parentado, Antuono rimase a servir
l’orco, a casa del quale il mangiare si gettava per la faccia
e, quanto al faticare, si stava da poltrone; di modo che, in
quattro giorni, si fece grasso come un turco, tondo come un bove, ardito come
un gallo, rosso come un gambero, verde
come un aglio e grosso come una balena, e cosi tarchiato e
con la pelle tesa che quasi non poteva più aprire gli occhi.
Non erano passati due anni, quando, venutagli in fastidio tanta grascia, gli
nacque voglia e desiderio grande di fare una
corsa a Marigliano; e, pensando alla casetta sua, si consumava
ed era quasi tornato all’aspetto di prima. L’orco, che gli vedeva
fin nelle viscere e conosceva il prurito che lo faceva
stare come sposa malcontenta, se lo chiamò da parte e gli disse:
«
Antuono mio, io so che hai grande struggimento di rivedere le carni tue; e perciò,
amandoti come le mie pupille, son
contento che faccia una gita e appaghi il tuo gusto. Prendi, dunque, quest’asino
che ti toglierà la fatica del viaggio; ma sta’ attento a non dir
mai: Arri, cacauro!, ché te ne pentiresti per l’anima di
mio nonno».
Antuono, preso il ciuco, senza dire buon vespro, vi sali sopra e partì di trotto.
Ma non aveva fatto un centinaio di passi
che, smontato dal somaro, si dié a gridare: Arri, cacamo! E
aveva appena aperto la bocca che quel sardagnuolo cominciò a evacuare
perle, rubini, smeraldi, zaffiri e diamanti, grosso ognuno quanto una noce. Antuono,
con un palmo di gola aperta,
guardava a quelle belle uscite di corpo, a quelle superbe
scariche, a quelle ricche dissenterie dell’asinelio; e, con giubilo
grande, riempita una bisaccia di quelle gioie, rimontò in
groppa e, toccando coi piedi di buona lena, giunse a un’osteria.
Smontato, la prima cosa che disse all’oste fu: «Lega quest’asino
alla mangiatoia; dagli da mangiare con abbondanza;
ma bada, non dire: Arri, cacamo!, ché te ne pentiresti. E conservami
queste cosette in luogo sicuro». L’oste, che era
dei quattro dell’arte(8) e maestro di malizia, udita questa avvertenza
inaspettata, e vedute le gioie che valevano migliaia,
venne in curiosità di conoscere quale effetto facessero quelle parole.
E perciò, messo innanzi ad Antuono un buon pranzo e
datogli da bere quanto più potè, lo fece ficcare tra un saccone e
una schiavina; e non appena gli vide calar le palpebre e russare
a tutto spiano, corse alla stalla e disse all’asino: Arri, cacauro! E
l’asino, con la medicina di queste parole, eseguì la
solita operazione, dando la stura al corpo con diarree d’oro e
torbidi di gemme.
Al vedere questa evacuazione preziosa, l’oste formò disegno
di scambiare l’asino e d’impastocchiare quel pacchiano
d’Antuono, stimando facile cosa d’accecare, legare, ingannare,
imbrogliare, infinocchiare, mettere in sacco e dare a vedere vesciche per lanterne
a un maialone, marrone, maccarone, pecorone,
semplicione, com’era costui venutogli tra le mani.
Antuono, svegliato che fu la mattina, quando l’Aurora esce a gettare il
pitale del vecchio suo, pieno di arenella rossa, alla finestra d’oriente,
stropicciatisi gli occhi con le mani, stirate le braccia per mezz’ora,
fatta una sessantina di sbadigli e di
scoregge in forma di dialogo, chiamò l’oste, dicendogli: «
Vieni qua, camerata: conti spessi e amicizia lunga; amici noi e guerra tra le
borse: fammi il conto e pagati». E cosi, tanto per pane, tanto per vino,
questo di minestra, quello di carne,
cinque di stallaggio, dieci di letto e quindici di mancia, sborsò
i quattrini; e, presosi l’asino falsario con un sacchetto di pietre pomici
in cambio delle pietre da anello, parti di buon passo
verso il suo paese.
Giunto a Marigliano, innanzi di metter piede alla sua casa, cominciò a
gridare, come scottato dalle ortiche: «Corri,
mamma, corri; ché siamo ricchi! Spiega asciugamani, stendi
lenzuola, spandi coperte, ché vedrai tesori!». La mamma, con grande
allegrezza, aperto un cassone, dove serbava il corredo delle figlie, ne trasse
lenzuola fini che se soffiavi volavano, tovaglie odorose di bucato, coperte di
colori che ti saltavano in faccia, e ne fece una bella distesa. E Antuono vi
condusse
sopra l’asino e cominciò a intonare: Arri, cacauro! Ma,
per Arri cacauro che dicesse, l’asino faceva tanto conto di quelle
parole quanto ne fa del suono della lira(9). Pure, tornando a replicarle
tre o quattro volte, e tutte gittate al vento, dié di piglio a un grosso
randello e si mise a battere la malcapitata bestia; e
bastonò e bastonò tanto che il povero animale si senti sciogliere
il corpo e fece una bella scodellata gialla su quei panni bianchi.
La misera Masella, che vide questo successo, e, quando faceva fondamento di arricchire
la povertà sua, si trovò innanzi
un ben altro fondamento, cosi liberale da ammorbarle tutta
la casa, afferrò un legno, e, non dando tempo ad Antuono di mostrarle
le pietre pomici, gli somministrò una buona bastonatura.
E quello subito spulezzò alla volta dell’orco.
L’orco lo scorse che s’avvicinava più di trotto che di passo;
e, poiché, come fatato, sapeva quanto gli era accaduto, lo rimproverò ben
bene di essersi lasciato beffare da un oste, chiamandolo,
scioccone, «mamma mia, mettimi in bocca», babbione allocco, semplicione,
minchione, villanzone e scimunito,
che, in cambio di un asino lubrico di tesoro, si era fatto dare
un bestia feconda di escrementi ordinari. Antuono, inghiottendo questa pillola,
giurò che mai più, mai più non si sarebbe
lasciato gabbare e burlare da persona vivente.
Ma, dopo un anno, gli si rinnovò il medesimo dolor di capo, languendo
pel desiderio di rivedere i suoi. L’orco, ch’era
brutto di faccia e bello di cuore, gli accordò anche questa volta la licenza,
e gli fece dono di un bel tovagliuolo, dicendogli: «
Porta questo a tua madre; ma avverti, non ti condurre da ciuco
come facesti con l’asino; e, fintanto che non arrivi a casa
tua, non dire né Apriti né Serrati, tovagliuolo, perché,
se ti accade
qualche altra disgrazia, il danno è tuo. Orsù, va’ col buon
anno e torna presto».
Antuono parti; ma si era di poco allontanato dalla grotta che pose il tovagliuolo
a terra e disse: Apriti tovagliuolo! E quello s’apri e subito
vi si videro sopra, in folla, oggetti di lusso, galanterie, preziosità,
cose bellissime e stramirabili. E allora Antuono pronunciò: Serrati,
tovagliuolo!,
e, chiusa dentro ogni cosa, si avviò alla medesima osteria dell’altra
volta.
Dove giunto, disse all’oste: «Prendi, conservami questo tovagliuolo,
e bada a non dire: Apriti e sérrati tovagliuolo!».
Colui, ch’era un furbo raffinato, rispose: «Lascia fare a me»; e,
datogli assai da mangiare e fattagli afferrare la bertuccia per
la coda(10)", lo mandò a dormire. Poi prese il tovagliuolo, pronunciò le
parole, e si vide innanzi tante cose preziose da stupire.
Perciò, trovato un altro tovagliuolo simile, lo sostituì a
pennello.
Antuono, svegliatosi e cavalcando di buon trotto, giunse alla casa della madre,
e gridò: «Ora si che daremo un calcio in faccia alla pezzenteria!
Ora si che porremo rimedio a cenci,
stracci e brandelli!». E, steso il tovagliuolo a terra, disse: «Apriti,
tovagliuolo!». Ma poteva dirlo da oggi a domani, che ci perdeva il
tempo, e quello non dava il minimo segno di aprirsi.
Allora, vedendo che la faccenda andava al contrario, disse
alla madre: «Che il Cielo sia benedetto! L’oste me l’ha fatta
un’altra volta. Ma va’, ché lui ed io siamo due. Meglio che non
fosse nato! Meglio che fosse caduto sotto le ruote d’un
carro! Che io possa perdere il miglior mobile di casa mia, se,
quando passo da quella taverna, per pagarmi delle gioie e dell’asino rubato
non gli riduco in cocci vasi, scodelle e bicchieri!»
Ma la madre, che udì questa nuova asineria, schizzando
fuoco, lo rimproverò: «Fiaccati il collo, figlio scomunicato!
Rompiti la catena delle spalle! Levamiti dinanzi! ché io
vedo le viscere mie e non posso digerirti, e mi si gonfia
l’ernia e metto il gozzo sempre che mi vieni tra i piedi! Finiscila presto,
e che questa casa ti scotti come fuoco! Io di te mi scuoto i panni, e fo conto
di non averti mai cacato al mondo».
Lo sciagurato Antuono, che vide il lampo, non volle aspettare
il tuono; e, come uno che ha rubato i panni di un bucato,
abbassando il capo e alzando i talloni, dileguò alla volta dell’orco.
E l’orco, allo scorgerlo che entrava lemme lemme e mogio mogio, gli fece
un’altra sonata di cembalo, dicendo: «
Non so chi mi tenga che non ti ammacchi un occhio, ciarlone,
bocca da scoreggia, carne fracida, culo di gallina, taratatà,
trombetta della Vicaria(11), che d’ogni cosa getti il bando, che
vomiti tutto quanto hai in corpo, e non puoi ritenere i ceci! Se stavi zitto
all’osteria, non ti accadeva quello che ti è accaduto;
ma tu hai la lingua come il legnetto del mulino, e hai macinato
la felicità che t’era venuta nelle mani!».
Il disgraziato Antuono mise la coda tra le gambe e si sorbì
questa musica; e stette oltre tre anni tranquillo ai servigi
dell’orco, pensando alla casa sua quanto a diventar conte. Pure,dopo questo
tempo, gli tornò l’accesso della terzana, gli rinacque il capriccio
di fare una gita alla sua casa, e ridomandò licenza all’orco. E
l’orco, premuto dalle sue insistenze, si
contentò che partisse, e gli dette una bella mazza lavorata, con l’avvertenza: «Porta
con te questa mazza per mia memoria;
ma guardati di non dire: Alzati, mazza! nè Coricati, mazza!, perché io
con te non voglio averci che spartire». Antuono, ricevendola,
rispose: «Va’ che ora ho messo il dente del senno e conosco quante
paia facciano tre buoi: non sono piu un ragazzo,
e chi vuol gabbare Antuono si vuol baciare il gomito».
Replicò l’orco: «L’opera loda il maestro: le parole
sono femmine
e i fatti sono maschi: staremo a vedere! Tu m’hai udito
più di un sordo: uomo avvisato, mezzo salvato».
L’orco seguitava a parlare, e già Antuono s’affrettava verso
casa. Ma non fu discosto mezzo miglio che disse: Alzati,
mazza! Non fu parola, fu arte d’incanto: la mazza, subito, come
se avesse farfarello dentro al midollo, cominciò a lavorar di tornio sulle
spalle del misero Antuono; e le mazzate piovevano
a cielo aperto, e l’un colpo non aspettava l’altro.
Il pover’uomo, che si vide pestato e conciato come pelle di cordovano,
gridò: Coricati, mazza!-, e la mazza cessò di fare contrappunti
sul pentagramma della schiena. Cosi, istruito a proprie
spese, disse: «Zoppo chi fugge! Affé, che questa volta non me la
lascio scappare! Ancora non è andato a letto chi deve vedere la mala sera!».
Con questi pensieri giunse alla taverna solita, e vi fu ricevuto con le maggiori
accoglienze del mondo, perché l’oste sapeva
quale sugo si ricavava da quella cotenna. Antuono gli
disse: «Prendi, conservami questa mazza; ma bada a non dire: Alzati,
mazza!, che passi pericolo. Ascoltami bene; non ti lamentare
più d’Antuono, perché io me ne protesto e fo il letto innanzi» (12).
L’oste, tutto allegro di questa terza ventura, lo rimpinzò bene
di minestra e gli fece vedere il fondo dell’orciuolo; e,
come l’ebbe messo, cascante di sonno, in un letticciuolo, corse
a prendere la mazza, e, chiamando la moglie ad assisterealla bella festa, disse: Alzati,
mazza! La quale cominciò a trovare la stiva degli osti(13), e tiffe
di qua e taffe di là, fece un’andata e venuta di prim’ordine;
talché, vedendosi a mal
partito, corsero marito e moglie, inseguiti dalla mazza, a svegliare
Antuono, chiedendogli misericordia.
Antuono, che vide che la cosa era riuscita al punto e il maccarone caduto nel
cacio e i broccoli nel lardo, disse: «Non
c’è rimedio! Voi morirete crepati di mazzate, se non mi resti
tuite
le cose mie». E l’oste, ch’era tutto pésto: «Prenditi
tutto ciò che ho, ma toglimi questo fastidio maledetto dalle spalle!»
; e, per dar sicurezza ad Antuono, gli fece venire innanzi
tutto quello che gli aveva sottratto. Antuono, quando ebbe tutto
nelle mani, disse: «Coricati, mazza!», e quella s’accosciò e
stese da un canto.
Cosi, preso il somaro e le altre cose, se ne andò alla casa della madre,
dove, fatto cimento regale del deretano dell’asino e
prova sicura del tovagliuolo, raccolse grandi quattrini, maritò le sorelle,
arricchì la madre, e attestò la verità del detto:
I pazzi ed i ragazzi Dio li aiuta.
Note
(1) Antuono ovvero lo sciocco; nell'uso corrente il nome si riferiva nell'onomastica napoletana a S. Antonio abate ed era il nome d uno dei tre personaggi della Farza de li tre massare di Velardiniello, un testo che circolava largamente nella librettistica popolare.
(2) Cerretano o cantastorie popolare. Il Lanza fu un celebre narratore di fole nella piazza di San Marco in Venezia.
(3) Tanto sono miserabili. Si può forse qui richiamare per analogia la frase proverbiale, che si legge in testi fiorentini: «andar per la fava», che voleva dire: «essere in grande povertà».
(4) Comune in Terra di Lavoro (prov. di Caserta, circondario di Nola).
(5) Par che sia da intendere: al piu facile dei giuochi, com’è quello di tirar palle di neve.
(6) Michele Rak nel commentare il personaggio dell'orco propone come riferimento coevo al Basile un quadro sociale delineato da Stefano Guazzo in Della Civil conversatione (Venezia 1590 I, 13). Questo autore dice che ci sono persone che si distaccano dalla congregazione civile per ridursi in solitudine. Così facendo ripigliano la natura bestiale, vivendo all'aria aperta, nelle grotte e nei luoghi montani. Queste considerazioni, fra l'altro, ben si relazionano alla chiusa finale in cui si dice che Dio aiuta i pazzi e i bambini. Ma l'orco può essere definito un pazzo?
(7) In questa forma correva il nome del famoso Giorgio Castriota, detto lo Skanderbeg, popolare assai nella tradizione napoletana pei rapporti che aveva avuti col re di Napoli, Ferrante I d’Aragona.
(8) Nell’ordinamento delle corporazioni d’arti e mestieri c’erano a capo i consoli e i «quattro delle arti». E' dunque sottinteso che tra questi personaggi c'erano dei truffaldini.
(9) «Asinus ad lyram»: proverbio latino.
(10) Cioè ubbriacare, perché la bertuccia è Cioè ubbriacare, perché la bertuccia è «inuus ecaudatus. A quel tempo le scimmie correntemente esibite negli spettacoli di piazza non avevano la coda.
(11) II banditore della gran Corte della Vicaria di Napoli, che pubblicava i bandi a suon di tromba.
(12) Cioè, preparo con le parole il concetto che segue. I vocabolari italiani recano l’esempio del Salvini: «e senza fare, come si dice, il letto, passa a narrare un fatto, ecc.».
(13) Cioè la disposizione del carico, che renda bene stivata la nave; e, per traslato, il modo acconcio di trattare gli osti.
Detti e modi di dire popolari citati nel racconto:
1)La fortuna è talmente cieca che manda in alto persone che non cacceresti
da un campo di fave. Cioè le persone più povere che per vivere rubacchiano
fave: un legume che si può mangiare sia cotto, sia crudo e che può
provocare la malattia cosidetta "favismo". Un legume legato al maggese
verde e ai riti misterici della Grecia antica.
2)
Dare a vedere vesciche o
lucciole per lanterne.
3)Essere come l'asino al suono della lira.
4)Avere la lingua come il legnetto del mulino(cioè non riuscire mai a stare
zitti).
5)Conoscere quante paia fanno tre buoi: lo dice il saccente.
6)L'opera loda il maestro: le parole sono femmine e i fatti sono maschi.
7)Avere "farfarello" dentro al midollo: avere un diavolo in corpo, essere
agitatissimi e muoversi con estrema rapidità.
8)Zoppo chi fugge: se fuggi, nel caso presente e favorevole, allora hai
un difetto mentale.
9)Non è andato a letto chi deve vedere la mala sera: come "ride
bene chi ride ultimo".
10)I pazzi ed i ragazzi Dio li aiuta.
Considerazioni:
La scuola diffusionistica dei finlandesi Aarne e Thompson curò ben poco
l'aspetto diacronico dei racconti popolari, cioè il come si è formato un
tipo, un motivo ricorrente nel tempo in connessione con le varie culture.
E infatti non hanno fatto caso all'orco "nano". Il racconto negativizza
in parte la sua figura e quella dello sciocco Antuono, ma in definitiva
essi risultano vincenti. Alla fine c'è la chiusa:
"I pazzi ed i ragazzi Dio li aiuta". Questa chiusa riporta il
racconto nell'alveo del sentire della nostra cultura cristiana in cui tutto
dipende
da Dio, ma in effetti l'orco nano di per sè ha una forte valenza
eversiva di tipo magico. Rappresenta la forza della natura che avvicenda
creature
perfette e bellissime a vedersi ed esseri deformi ma con grandi capacità
tecnico-magiche. Vedi nostri articoli sui fabbri-nani
dell'antica Grecia e sui nani
dell'area germanica . Nella cultura popolare ancora oggi si
ritiene porti fortuna toccare la gobba di un deforme o fare una carezza
a un nano.
L'esperienza millennaria ha registrato che tali persone, se sposano una
persona che non ha i loro stessi problemi fisici, possono avere dei figli
bellissimi, sfuggendo alla maledizione degli dei celesti. L'orco nano è
da considerare colui che insegna un mestiere tecnico ad Antuono; e nell'antichità
in numerose culture, per esempio il mestiere del fabbro, era ritenuto fortemente
connesso alla magia del fuoco tellurico.
In questo racconto fa baleno l'aria di segretezza in cui erano tenuti
certi insegnamenti e certi rituali. Colui che non rispettava questi segreti
veniva considerato un pazzo o uno scemo, appunto come Antuono quando non
è capace di stare zitto. E' interessante che Antuono ingrassi in poco
tempo nel periodo in cui sta con l'orco. In questo racconto il diventare
grassi non è l'anteprima di un atto cannibalico. Probabilmente il racconto
ricorda un significato ancora positivo dell'ingrassamento, cioè del periodo
iniziatico: colui che vi si sottopeneva si arricchiva, entrava in possesso
di "sacra" che altrimenti non avrebbe ottenuto. Quando Antuono
impara a stare con la bocca cucita e a non diffondere i segreti,
allora diviene maturo e riesce a difendere ciò che ha acquisito.
Sopra una statua di nano nella villa Nani-Mocenigo a Monselice(PD). La villa fu costruita ai primi del 1600 e testimonia il gusto del mostruoso degli artisti dell'epoca. I Nani erano una famiglia patrizia veneziana fin dal 1297(vedi Wikipedia).
TAGS: Giambattista Basile, Vladimir Propp, Lo cunto de li cunti, Pentamerone, Tipi, motivi, Aarne, Thompson, Penzer, La fiaba dell'orco, nano, deforme, asino caca oro, iniziazione, terra, maggese, 7 anni, , usi nuziali, la mortella, sciocco diventa esperto, Peruonto, Vardiello, trasformazione, metamorfosi, ricerca del marito perduto, riti misterici, noce magica, castagna magica, nocciola magica, bambola che fila oro, bambola nana che canta e balla, bambola che infonde desiderio di sentire racconti, la pulce, la gatta Cenerentola, i due figli del mercante, faccia di capra, la cerva fatata, la vecchia scorticata, racconti, i tre doni, il bastone magico, la tovaglia magica